Arruolarsi per la patria? Il 44% dice sì, ma i dati veri parlano di paure, rinunce e propaganda
Difesa, comunicazione e propaganda. Potrebbero essere questi i tre pilastri alla base del sondaggio pubblicato il 20 giugno da QN e commissionato dal Ministero della Difesa all’Istituto Piepoli, secondo cui il 44% degli italiani sarebbe pronto ad arruolarsi in caso di “estrema necessità”.
Un dato che suona come un segnale di allarme in un Paese che – almeno formalmente – non è in guerra, ma in cui si moltiplicano messaggi e iniziative volte a rafforzare lo “spirito patriottico” e la disponibilità al sacrificio in nome della sicurezza nazionale.
I DATI
Il sondaggio è stato condotto su un campione di 500 persone, rappresentativo per età, genere e area geografica. Ecco alcuni dei risultati principali, così come riportati da QN:
Il 75% degli intervistati si dice “molto legato” all’Italia, ma questa percentuale varia significativamente con l’età: 67% tra i 18-34 anni, 85% tra gli over 55.
Il 44% è pronto ad arruolarsi in casi di estrema necessità.
Solo il 30% si dice disponibile al sacrificio in caso di guerra; disponibilità che sale in caso di disastri naturali (72%) o pandemie (65%).
Il 48% è disposto a rinunciare temporaneamente alle libertà personali per la sicurezza nazionale.
Solo il 29% sarebbe pronto a rinunciare a parte del reddito.
Il 45% è favorevole ad aumentare i fondi per la difesa, con punte del 56% tra i giovani.
Il 49% ritiene che la difesa militare serva anche a proteggere la propria vita e quella dei propri cari.
L’OMBRA DELLA PROPAGANDA
Appare evidente come la lettura proposta dai promotori del sondaggio miri a trasmettere un’immagine di coesione e disponibilità al sacrificio nazionale, ma uno sguardo più attento ai dati rivela tutt’altro.
Il 30% di disponibilità alla guerra è una soglia molto bassa. La maggior parte degli italiani mostra un attaccamento alla patria, sì, ma è molto più propensa a sacrificarsi per disastri naturali o pandemie – cioè emergenze percepite come inevitabili – che per conflitti armati, spesso vissuti come evitabili, politici o imposti dall’alto.
Anche la “rinuncia alle libertà”, accettata temporaneamente dal 48% per motivi di sicurezza, dovrebbe far riflettere in un contesto europeo che ha già visto, negli ultimi anni, un preoccupante scivolamento verso l’autoritarismo sotto il pretesto di emergenze continue.
IL CONSENSO A CRESCITA SELETTIVA
Nel frattempo, cresce anche il gradimento personale del ministro della Difesa Guido Crosetto, che – secondo l’Istituto Piepoli – guadagna 4 punti, attestandosi al 43% di fiducia.
Un dato che, nella comunicazione politica, arriva a puntino: in un periodo segnato da manifestazioni contro il riarmo europeo (come quella del 21 giugno a Roma), parlare di coesione nazionale e spirito di sacrificio può contribuire a rafforzare l’immagine di un esecutivo che punta sempre più sulla sicurezza e sempre meno sulla diplomazia.
GIOVANI, CYBER E GUERRE DIGITALI
Interessante il dato che riguarda i giovani (18-34 anni): il 49% di loro sarebbe interessato a investire nella cybersicurezza, un tema spesso affrontato con superficialità, ma diventato centrale in un mondo dove i conflitti si combattono sempre più dietro uno schermo. Tuttavia, resta da capire se l’interesse verso il “cyber” sia autenticamente difensivo o semplicemente una moda che il governo cavalca per legittimare nuove spese militari.
Siamo davvero pronti a vestirci di mimetico per un concetto sempre più vago di “sicurezza nazionale”? O stiamo assistendo a una sofisticata operazione di comunicazione mascherata da sondaggio?
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