Netanyahu, l’architetto del disastro: il suo piano di guerra e sterminio generano solo odio
In un clima internazionale dove la narrazione dominante si affanna a giustificare ogni mossa di Israele come “difensiva”, c’è una realtà che pochi osano affrontare: l’attuale strategia di Benjamin Netanyahu, fondata sull’uso sistematico e sproporzionato della forza, sta alimentando ciò che Israele dice di voler combattere.
A Gaza, da mesi, si consuma una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo. Interi quartieri rasi al suolo, migliaia di morti civili, ospedali distrutti, carestia pianificata. Tutto questo, in nome della sicurezza. Ma la storia insegna che la violenza cieca non produce sicurezza: genera rancore, vendetta, e nuove generazioni di estremisti.
La vendetta come carburante per il terrorismo
Chi perde una madre, un figlio, un fratello sotto le bombe israeliane, difficilmente potrà guardare allo Stato ebraico con spirito di riconciliazione. A Gaza, la disperazione è diventata odio. E quell’odio è già diventato reclutamento.
I bambini che oggi sopravvivono sotto le macerie saranno gli adulti che domani – con ragione o torto, questo poco importa alla cronaca – vedranno Israele non come uno Stato, ma come un carnefice. Il prezzo sarà un terrorismo sempre più diffuso, più radicale, più difficile da arginare.
Netanyahu, nel voler annientare Hamas, rischia di moltiplicarne gli eredi.
Il boomerang dell’odio: cresce l’antisemitismo
La politica aggressiva del governo israeliano ha anche un altro effetto collaterale: il risveglio dell’antisemitismo a livello globale. Non si tratta solo di manifestazioni contro la guerra, ma di un crescente e pericoloso ritorno alla retorica anti-ebraica, soprattutto nei contesti più polarizzati.
È una deriva inquietante, perché mette sullo stesso piano un governo e un intero popolo, confondendo l’azione politica di Netanyahu con l’identità ebraica in sé.
Questo cortocircuito culturale è alimentato proprio dalla ferocia delle operazioni militari israeliane, che non solo non fermano il terrorismo, ma mettono a rischio le comunità ebraiche nel mondo.
L’attacco all’Iran e la politica del “nemico per sempre”
L’attacco all’Iran per la questione nucleare, altro elemento cardine della linea Netanyahu, rappresenta l’altro fronte di una strategia che vede nella guerra preventiva l’unico strumento diplomatico. Ma l’Iran non è Gaza: è una potenza regionale, con alleati, risorse e capacità di risposta. L’apertura quel fronte può portare alla destabilizzazione definitivamente il Medio Oriente. Una politica estera fondata sul confronto militare perpetuo crea uno scenario permanente di guerra. Netanyahu sembra voler disegnare un futuro in cui Israele sia circondato prevalentemente da nemici: ma un Paese circondato da nemici è un Paese costretto alla guerra continua.
Questo è davvero l’unico modo possibile per garantire sicurezza agli israeliani?
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