Se Teheran chiude Hormuz, l’Europa rischia il blackout energetico
L’allerta è alta nello Stretto di Hormuz, da cui transita circa il 20% del petrolio esportato a livello globale. Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, l’Iran sta valutando seriamente la possibilità di bloccare il passaggio in questo tratto strategico, con potenziali conseguenze drammatiche sui mercati energetici internazionali.
Si tratta di un corridoio marittimo largo appena 45 chilometri tra Iran ed Emirati Arabi, cruciale anche per il trasporto del gas naturale liquefatto (GNL), in particolare quello proveniente dal Qatar. L’Italia, che ha ridotto le forniture dalla Russia, è oggi tra i principali acquirenti del gas qatariota. Un’interruzione del traffico marittimo in quest’area avrebbe impatti immediati sui prezzi dell’energia e sull’inflazione globale.
Un membro del Comitato per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano, citato dall’agenzia russa Tass, ha dichiarato che “la possibile chiusura dello Stretto è una delle opzioni attualmente sul tavolo”. Si tratterebbe, dunque, di una minaccia concreta.
L’Iran, pur essendo un importante esportatore, con le terze riserve mondiali di petrolio (208 miliardi di barili) e le seconde di gas naturale (34 mila miliardi di metri cubi), esporta oggi il 90% del suo greggio verso la Cina, a causa delle sanzioni occidentali. Dispone inoltre di un terminal alternativo nel Golfo dell’Oman, che gli garantisce un margine di manovra. In uno scenario di chiusura, Teheran potrebbe quindi danneggiare più gli altri che sé stessa.
Tra i paesi più dipendenti dallo Stretto per l’export energetico figurano Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Qatar e Bahrein. Riyadh ha a disposizione un oleodotto che collega i giacimenti al Mar Rosso, ma la capacità di questa infrastruttura non è sufficiente a sostituire i volumi normalmente trasportati via mare.
Non è la prima volta che Teheran minaccia una misura del genere, finora mai attuata anche per evitare effetti controproducenti. Per questo, la reazione dei mercati resta per ora contenuta: il Brent, riferimento europeo, ha guadagnato il 2% a Londra, salendo oltre i 78 dollari al barile. Più marcata la crescita del gas, aumentato del 7% ad Amsterdam, sopra i 41 euro per megawattora.
Secondo Reuters, l’Iran è il terzo produttore tra i membri dell’OPEC, con una produzione media di circa 3,3 milioni di barili giornalieri. Ogni giorno, tra i 18 e i 21 milioni di barili di petrolio e derivati attraversano lo Stretto di Hormuz. La preoccupazione degli analisti è che un’escalation, soprattutto con un eventuale intervento degli Stati Uniti, possa sfociare in attacchi diretti a petroliere e infrastrutture energetiche.
Helima Croft, analista di RBC Capital, ha affermato che “il rischio di una grave interruzione del sistema energetico aumenterà se l'Iran si sentirà minacciato esistenzialmente”. Anche JP Morgan mette in guardia: in uno scenario estremo, con il conflitto esteso all’intera regione e la chiusura dello Stretto, i prezzi del petrolio potrebbero schizzare fino a 120-130 dollari al barile.
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